domenica 6 maggio 2018

C'è crisi e crisi

L'ansioso sociale può vivere due principali tipi di crisi: quella breve, che ho ribattezzato "crisi da Capodanno", che arriva con botti, spargimento di lustrini e l'inopportuno entusiasmo di un bambino davanti all'intero set di pentole della Mondial Casa, e quella lunga, che io chiamo "Crisi Millefoglie", perché è lenta a prodursi e tremendamente stratificata.
Se la crisi breve è uno scoppio, un "BUU" lanciato da qualcuno mentre stavi facendo il pisolino del secolo e che, per questo, ti fa esplodere il cuore in un milione di coriandoli che poi ricomporrai diligentemente a colpi di bestemmie e nastro adesivo, la crisi lunga è più infida e si insinua lentamente, senza fretta, senza quasi che ci si accorga del suo arrivo. E' come un fastidioso prurito sul palato, che lentamente arriva a dar noia anche alla punta dei capelli o una marea in risalita di cui ci accorgiamo solo quando arriva a minacciare il nostro piccolo regno fatto di sdraio, ombrelloni e sportine piene di insalata greca e panini con la porchetta. Inoltre, se la crisi da Capodanno è generalmente improvvisa e causata da un evento scatenante a cui devi sopravvivere, tipo eruzione del Vesuvio a Pompei, la crisi Millefoglie non ha un'univoca motivazione, ma tante piccole cause che si sono sommate nel tempo come i cumuli di plastica e pannolini sporchi sulla collinetta dietro casa (che, per inciso, in origine non c'era neanche). Perciò la causa della crisi lunga non è mai l'ultimo evento che ne ha prodotto la manifestazione: quello semmai è la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso. Si tratta in realtà di uno strato dietro l'altro di pensieri, eventi, questioni e paure che si sono create nel tempo e che si è scelto di nascondere sotto al tappeto, in attesa che sparissero da soli. Purtroppo però, Mastro Freud ci aveva preso giusto quando diceva che tutto quello che si accumula internamente, ad un certo punto, trova una via per uscire. Alias (per noi): crisi Millefoglie. Gradualmente, infatti, si inizia a sentire una strana puzza di marcio e, ad un certo punto, si scopre di essercisi cascati con tutte le scarpe, in quella pozza di fango che sta risucchiando, e si finisce col sentire una profonda affinità con il cavallo di Atreiu, annegato nella palude della tristezza. In effetti, anche la natura della crisi è molto diversa: la crisi da Capodanno fa paura come la reazione di una delle protagoniste di Jersey Shore a cui hai salutato il fidanzato, mentre la crisi Millefoglie è più simile ad una lenta, inesorabile caduta nella tristezza. E' come un salasso: senti tutte quelle sanguisughe che ti ciucciano come fossi un Calippo alla fragola e non c'è verso di levartele di dosso perché sono troppo viscide e scivolano dalle mani. E ad un certo punto, sei solo troppo stanco per provare ancora a staccarle dalle braccia. Semplicemente, ti arrendi. In realtà, per quanto possa sembrare un pensiero controcorrente rispetto all'imposizione sociale del "tirate i pomodori ai deboli e a chi si arrende", mollare il colpo talvolta si rivela la scelta migliore.
L'attitudine da Rambo infatti non è necessariamente quella più logica, soprattutto se si sta lottando con i mulini a vento. A volte, ha molto più senso fermarsi un attimo e cercare di capire davvero cosa stia accadendo. Invece di rifiutare il dolore fingendo malamente che vada tutto bene, in certi casi è meglio andargli incontro e vedere cosa ha da dirci. Per tornare alla metafora delle sanguisughe, dobbiamo aspettare che finiscano di nutrirsi perché, se è vero che le sanguisughe reali non fanno altro che farti venire una bella infezione che, se tutto va bene, ti manderà presto al creatore (liberandoti almeno dei dolori fisici), quelle psicologiche hanno davvero la funzione spurgante che tanto auspicavano i dottori settecenteschi. Sono dei netturbini che ripuliscono dolorosamente e preparano ad una nuova rinascita. Sono come un esfoliante psicologico, che alla fine lascia stanchi, ma con una pelle di pesca che farebbe invidia anche ai culetti dei neonati. E' un ciclo in cui si deve passare, insomma, una bollitura lenta nella marmitta del dolore in cui si deve sguazzare per un po' e che non ha nulla a che vedere con l'autocommiserazione. E' un momento in cui, invece di muoversi, si deve stare, stare  il tempo necessario ad aprire tutti i pori mentali, a far uscire tutti i pensieri negativi che si sono accumulati nel tempo, tutte le insicurezze, le paure, le critiche autoinflitte e le variopinte fantasie in cui, anzianissimi, si viene ritrovati dai pompieri sul divano di casa, morti ormai da settimane e mezzi mangiati dai fidati felini. Si deve andarci a fondo, in quel pantano, ci si deve mettere le mani dentro, e perché no, anche la testa, si deve guardarlo in faccia, il fango che ci si è portati dentro per tutto questo tempo e che ci ha reso fragili come un vaso Ming in un asilo nido. Solo attraversando quel momento si potrà uscirne perché, nel mezzo di tante cose familiari, si troverà anche una nuova verità, saltata fuori solo grazie a questo rimescolio intestino di liquami e ossa rotte che sembra voglia farci lo scalpo. Alla fine quindi, le crisi Millefoglie, per quanto terribili e debilitanti, per quanto ci lascino come dei bolliti di manzo dopo una cottura di tre ore, arrivano quando è necessario e ci raccontano qualcosa di noi che, volente o nolente, ci tocca ascoltare, guardare, raccogliere e magari farci  qualcosa di buono. E talvolta, inspiegabilmente, quella cosetta che ci ritroveremo tra le mani potrebbe addirittura sconvolgerci la vita. E in meglio. Nel frattempo, per citare il buon Neil Gaiman, Buona apocalisse a tutti. 

Duille

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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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