domenica 15 aprile 2018

Assaggi #3: Lavoretti

Dei saggi si possono dire tante cose: che siano accurati o superficiali, limpidi come l'acqua della Sardegna o oscuri come le parole di una Pizia greca, asciutti come una fetta di carne lasciata troppo tempo sulla piastra oppure scorrevoli ed infiocchettati come un chihuahua nelle mani di Paris Hilton. I saggi possono essere lunghi come la Muraglia Cinese o brevissimi, come uno starnuto emesso sottovoce. Possono essere esaustivi ed appassionanti oppure lasciare tiepidi e pronti ad essere sepolti nei recessi della memoria. Difficilmente però si è sentito dire di un saggio che sia, a tratti, divertente. Diciamoci la verità: "divertente" e "saggio" sembrano quasi due parole antitetiche, gli opposti che violano le leggi dell'amore, non attraendosi mai. Eppure, di tanto in tanto, ecco l'eccezione, il bassethound letterario, tanto serio all'esterno quanto vivace all'interno.
Il mio bassethound è stato Lavoretti, di Riccardo Staglianò. Un libro iniziato come una sfida, forse addirittura frutto di un momento di entusiasmo irrazionale, perché talmente fuori dalla confort zone di un'umanista come me da far impallidire anche la distanza tra Milano e la Luna.
Lavoretti infatti, è un saggio di economia sulla cosiddetta sharing economy, quell'economia fatta di piattaforme multimediali che propongono di instaurare un modello di economia circolare in cui, attraverso l'uso della tecnologia, domanda e offerta si incontrino senza intermediari indiretti, eccetto la piattaforma stessa, scambiandosi beni, tempo o servizi. Un po' come farebbe la zia ambientalista che, invece di andare al supermercato, compra le mele direttamente nella cascina scovata su internet. La realtà che ci racconta Staglianò, invece, è la degenerazione di questo bel concetto nel capitalismo più sfrenato e sregolato (data l'assenza quasi totale di leggi a riguardo) al punto di rendere necessaria una nuova nomenclatura, quella di gig economy, economia dei lavoretti. Si tratta di un'economia in cui il lavoro viene pagato in base alla prestazione erogata e non è vincolata a veri e propri contratti. E' il lavoro dei fattorini di Foodora e Deliveroo, dei drivers di Uber, dei migliaia di moderatori dei social networks (rigorosamente freelance) che si occupano di censurare e/o segnalare le immagini e le frasi che contengono contenuti offensivi, dagli incitamenti di morte dei ragazzini su Ask fino ai messaggi di suicidio su Facebook, e che ha regalato a molti di loro uno stipendio da fame e una bella Sindrome da Stress Post traumatico, con tanto di diagnosi scritta nera su bianco. La Gig economy, ci dice Staglianò, non è il futuro ma un ritorno al passato feudale, in cui le piattaforme, lungi dall'essere l'eroico distruttore delle catene del proletariato ottocentesco, è diventato un nuovo latifondista che estrae una commissione dal servo della gleba che svolge la prestazione, manipola i "collaboratori" affinché lavorino oltre i limiti delle loro possibilità, li punisce riducendo il numero di lavori offerti qualora questi non rispettino i requisiti stakanovisti esigiti o ricevano recensioni negative dai consumatori, non li tutela, li sottopaga, li controlla continuamente. E' così che i drivers di Uber si ritrovano a lavorare anche quando hanno le doglie del parto e a dormire in macchina nei parcheggi delle grandi città per guadagnare tempo ed evitare di tornare in periferia. E' così che i fattorini di Foodora vengono pagati a cottimo 2,50€ a consegna e viene loro ridotta la proposta di lavori se, per qualche motivo, si ritrovano con una gomma bucata per un'ora. E' così che i lavoretti diventano stili di vita e il precariato più estremo si cronicizza come un brutto caso di bronchite.
In questa panoramica disastrosa, che ci vede tutti condannati ad essere allodole davanti ad uno specchio, capite bene che l'ironia diventa non solo gradita, ma addirittura necessaria per ingoiare questo boccone amaro come cicoria e l'autore, fortunatamente, ne fa ampio uso. Staglianò adotta infatti un linguaggio tagliente e amaro, irriverente, cinico e provocatorio, dissacrante e divertentissimo a cui associa una demolizione sistematica, accurata e documentata delle favole moderne a cui i leader di queste nuove piattaforme digitali, comprese Amazon e Facebook, vogliono farci credere. L'obiettivo dell'autore è quello di divulgare e di sviluppare il pensiero critico, di offrire alle persone, soprattutto ai non addetti ai lavori, gli strumenti per promuovere un vero progresso in avanti che sia basato sui diritti acquisiti e non sulla perdita degli stessi in nome di una citofonata flessibilità e autonomia. Per questo motivo, opta per un linguaggio chiaro, accessibile, colloquiale e poco tecnico, e sceglie una esposizione esemplificata, fatta di interviste ai lavoratori, di articoli, di ricostruzioni storiche della nascita e dello sviluppo delle più grandi piattaforme attualmente attive (in particolare Uber e Airbnb) e di diversi capitoli nel quale allarga il discorso, mostrando al lettore il percorso che, di crisi in crisi, ha portato allo smantellamento delle economie tradizionali in nome della nuova economia del futuro, non ultima la crisi attuale, iniziata nel 2008. Ciò che Staglianò sottolinea è quindi che ci troviamo nell'avvenire di un'illusione, per citare Freud, un'illusione che però sta già assumendo la dimensione di un incubo, fatto di precariato, di diritti violati, di pochi che si arricchiscono e di molti che si ritrovano nelle condizioni dei minatori londinesi dell'epoca vittoriana. Un incubo che, alle condizioni attuali, porterà a squilibri economici che non interesseranno solo i singoli ma l'intero sistema e che causeranno un collasso del welfare state (il sistema di assistenza sociale statale) per colpa dell'evasione fiscale legalizzata delle piattaforme e dell'impossibilità di tassare efficacemente i lavoratori che di fatto non hanno contratto dipendente. Conseguentemente, ciò che si delinea è il futuro di una generazione di anziani che, privi di una pensione, si ritroveranno a pesare su finanze pubbliche sempre più esigue e di un presente che esige una "perma-giovinezza" in cui si vive ogni giorno come se fosse l'ultimo. In conclusione, Lavoretti è un libro adatto a tutti coloro che hanno sempre voluto capire qualcosa di economia senza di fatto capirci mai niente, che leggerete tutto d'un fiato (o quasi), che vi farà indignare e, paradossalmente, ridere, che vi aprirà gli occhi e dopo il quale - vi assicuro - inizierete a guardare i fattorini di Foodora con lo sguardo della chioccia davanti al pulcino. 
Duille





2 commenti:

  1. Ciao Duille!

    Innanzi tutto, devo ammettere che per me il connubio saggio-divertimento esisteva già grazie a Konrad Lorenz ed il suo "L'anello di Re Salomone" (che, forse te l'avrò già detto mille volte ma lo ripeto: devi assolutamente leggerlo!). Per il resto non conoscevo affatto questo titolo, che sembra una lettura da fare per prendere consapevolezza dei tempi loschi che stiamo vivendo. Soprattutto io, che al momento svolgo uno dei tanti "lavoretti" in circolazione...
    Ottima recensione davvero amica mia!

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    1. Ciao Julie, grazie per i complimenti! Sei sempre troppo carina! Neanche io conoscevo questo saggio, l'ho scoperto guardando una puntata di Report e ho pensato di tentare la sorte e buttarmici. Per fortuna alla fine si è rivelato un saggio comprensibile, così anche il mio ego non ne è uscito malconcio! Sicuramente te lo consiglio, proprio perché anche tu sei finita, come molti di noi, nel giro dei lavoretti. Non ti cambierà la vita dal punto di vista pratico, ma se non altro ti darà qualche strumento in più. Grazie anche per il suggerimento del"L'anello di Re Salomone", lo devo assolutamente recuperare perché sono sicura che mi piacerà moltissimo ed ora che hai aggiunto alla lista dei pro anche il connubio saggio-divertimento, beh, non posso perderlo! :D Un bacione fanciulla!

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Eccomi! Sono una scrittrice in erba, divoratrice di libri, sognatrice professionista e ansiosa sociale multicorazzata. Ho la fissa dei ricordi, la testa fin troppo tra le nuvole, interessi disordinati, un amore impossibile per gli alberi e una passione al limite del ridicolo per le serie tv. Ah, e le presentazioni non sono proprio il mio forte. Si vede?

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